Di origine etrusca, la pizza si conquista un’identità precisa nella Napoli del XVII secolo. All’inizio non era altro che una variante del pane cotto a legno. Rovistando nei documenti storici di allora, si parla di un disco di pasta soffice e gustosa, cosparsa di pomodoro e basilico. Diventa il piatto del popolo perché è povero ed è alla portata di tutti. La pizza si mangia “accartocciata” nella Napoli dell’800 e questa cosa incuriosisce i reali, che chiedono di assaggiarla. Le leggende sulla nascita della pizza Margherita sono molteplici e spesso contrastanti, e districarsi fra leggenda e realtà diventa compito arduo! A seguire, due fra le più diffuse. Correva il 1889, Umberto I e Margherita, durante una visita a Napoli, scoprirono il notevole interesse che la gente aveva per delle particolari focacce al pomodoro. I responsabili delle cucine Savoia decisero allora di far assaggiare quelle specialità ai monarchi, invitando alla reggia uno dei più celebri fornai della città, Raffaele Esposito. Tre le tipologie sfornate: “mastunicola” (pizza bianca), pizza pomodoro-acciughe, pizza pomodoro-mozzarella-basilico. La regina, apprezzò soprattutto quest’ultima, anche per l’evidente accostamento al tricolore italiano: il bianco della mozzarella, il rosso del pomodoro ed il verde del basilico. Fu così che in seguito dell’elogio reale la pizza alla mozzarella venne battezzata “Margherita”. Dall’altra parte c’è la versione che si tramanda, legata all’Antica pizzeria Brandi, fondata nel 1780. La famosa pizzeria di Salita S. Anna sostiene di essere stata lei ad inviare la pizza alla regina perché Raffaele Esposito lavorava per il locale originario, che allora si chiamava “Pietro e Basta così”. Inoltre, vista la posizione geografica, pare che l’assaggio sia avvenuto a Palazzo Reale e non alla Reggia di Capodimonte. Qualunque ne sia la reale o regale origine nasce così a furor di popolo la pizza Margherita, destinata a fare il giro del mondo diventando ovunque il piatto più copiato e riprodotto, simbolo incontaminabile e inconfondibile dell’identità gastronomica italiana. Il simbolo di Napoli è quindi, in buona parte, figlio della cultura torinese.
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