Firenze inedita: i segreti della città del giglio
Il suo nome è legato a personaggi del calibro di Leonardo da Vinci, Dante Alighieri e Michelangelo Buonarroti e i suoi invidiabili tesori le hanno garantito il titolo di “patrimonio dell’umanità Unesco”. Un weekend a Firenze è sempre una scelta sicura: i circa 10 milioni di pernottamenti annui nell’area, due terzi dei quali stranieri ne testimoniano il favoloso successo. Oggi scopriamo una Firenze misteriosa, osservata da una prospettiva inedita.
FIRENZE E LA SINDROME DI STENDHAL
La sindrome di Stendhal, detta anche sindrome di Firenze, è il nome di una affezione psicosomatica rara che colpisce soggetti molto sensibili e che provoca tachicardia capogiro, vertigini, confusione e anche allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, specialmente se le stesse sono esposte e concentrate in spazi ristretti. Il nome della sindrome si deve allo scrittore francese Stendhal (pseudonimo di Henri-Marie Beyle) che, essendone stato personalmente colpito durante il suo Grand tour in Italia nel 1817, ne diede una prima descrizione che riportò in un suo libro dove scrisse: “… ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.» La formulazione scientifica come tale della sindrome di Stendhal, fu analizzata nel 1989 in un libro dalla psichiatra Graziella Magherini, che osservò e descrisse più di 100 casi fra i visitatori del capoluogo toscano. La sindrome fu diagnosticata per la prima volta nel 1982 e, secondo quanto riportato, più della metà delle sue vittime sono di matrice culturale europea non italiani, che ne sono immuni per affinità culturale, ed i giapponesi. Fra i più interessati vi sono individui di formazione classica o religiosa che spesso vivono da soli. Il disagio causato da questa sindrome è generalizzato in un primo momento a uno stato di inettitudine diffusa sia mentale che fisico, a cui segue spesso un’allucinazione; in casi meno frequenti questi comportamenti sfociano in un’isteria, che può spingere alla distruzione dell’opera.
PESCE D’APRILE…..O PESCE DELL’ARNO?
Perché si dice “pesce d’Aprile”? È usanza di molti paesi del mondo festeggiare il primo giorno del mese di Aprile con scherzi ad amici e conoscenti con l’intento di creare un momento di divertimento collettivo. Le origini del tradizionale Pesce d’aprile, ricorrenza che si tramanda da secoli in molti paesi del mondo, sono incerte e sono numerose le ipotesi che avvolgono la nascita di questa tradizione in un alone di mistero: quella più accreditata negli ambienti accademici fa però risalire l’origine del pesce d’aprile ad un periodo antecedente al 154 A.C., quando il primo di aprile segnava l’inizio dell’anno. Più tardi, la Chiesa soppresse la festa stabilendo l’inizio dell’anno il primo di gennaio. La bravata più antica legata a questa “ricorrenza”, di cui si ha notizia sul territorio italiano, e’ quella del maestro Buoncompagno da Firenze e si manifestò nel territorio di Bologna. Sul finire del XIII secolo questo simpatico personaggio fa sapere al popolo bolognese che il primo aprile avrebbe sorvolato la Città usando un congegno di sua invenzione. Tra la popolazione la curiosità è tanta e tutti, nel giorno stabilito, si recano al Monte di Santa Maria per assistere allo strepitoso spettacolo. Puntuale, Buoncompagno si presenta all’appuntamento con un paio di enormi ali ma… un improvviso vento sfavorevole impedisce il volo! Quella che doveva essere una simulazione del volo d’uccello in realtà era un goliardico pesce d’aprile. Nel marzo 1878 la Gazzetta d’Italia annuncia un’altra strana notizia. Il 1 aprile, nel parco delle Cascine, i fiorentini avrebbero potuto assistere alla cremazione di un mahraja’ indiano. La curiosità per una cerimonia del tutto sconosciuta in quell’epoca attira una grande folla. Inizia l’attesa, passano le ore ma non arriva nessun carro funebre con la salma dell’indiano da cremare. Poi, all’improvviso, tra i cespugli, si fa strada un gruppo di ragazzi che gridano: “Pesci d’Arno fritti!“. Fortunato l’indiano, che non era morto, e beffati i fiorentini che, come raccontano le cronache dell’epoca, si allontanano ammutoliti… facendo gli indiani. Come si ha modo di comprendere nasce lontano nella storia il gusto del popolo fiorentino per la goliardia e le zingarate, rese celebri e consacrate anche nel film diretto da Mario Monicelli nel 1975 “Amici miei” dove quattro inseparabili amici d’infanzia fiorentini sulla cinquantina affrontano i loro disagi, con scherzi anche di cattivo gusto a danno di malcapitati.
TI AMO E T’INCATENO: I LUCCHETTI DI PONTE VECCHIO
Passando per Ponte Milvio a Roma, è impossibile non notare la mole di lucchetti che avvolge uno dei lampioni, infestandolo come un rampicante. Forse gli adulti non sanno di cosa si tratta, ma ogni adolescente degno di questo nome, conosce il significato nascosto di quel palo ricoperto da catene e lucchetti. Tutto nasce – o rinasce – dai protagonisti del libro “Ho voglia di te” di Federico Moccia, che consolidano simbolicamente il loro legame appena nato, incatenando un lucchetto proprio davanti al terzo lampione dello storico ponte Milvio a Roma. L’usanza degli innamorati di attaccare lucchetti per rendere il loro legame d’amore indissolubile, si è ormai propagata in moltissime città italiane ed anche europee, ma il fenomeno sembra essere originario di Firenze, dove già prima della vicenda narrata nel libro, c’erano dei lucchetti incatenati ovunque, soprattutto su Ponte Vecchio nella ringhiera che protegge la statua di Benvenuto Cellini. C’è infatti una suggestiva leggenda a Firenze che ha incoraggiato negli anni la comparsa di un numero sempre maggiore di lucchetti, con grande dispiacere delle forze dell’ordine fiorentine. La leggenda vuole che, se una coppia incatena un lucchetto su qualsiasi superficie di Ponte Vecchio e poi getta la chiave nell’Arno, il suo amore durerà in eterno. Milioni di coppie hanno visitato Ponte Vecchio espressamente per questo motivo. L’usanza di incatenare lucchetti a Ponte Vecchio fu con molta probabilità iniziata da un fabbro che pubblicizzava così la sua bottega ai piedi del ponte. Ponte Vecchio in passato era infatti un ponte per poveri commercianti, fino a quando non sono nate le eleganti botteghe orafe che i turisti conoscono oggi. Oggi l’Amministrazione Comunale, per porre freno all’enorme mole di lucchetti che deturpavano ormai le decorazioni del Ponte, ha stabilito una multa per chi venga sorpreso ad attaccare un lucchetto alla cancellata del Cellini.
PIAZZA DELLA SIGNORIA: L’IMPORTUNO
Nella parte inferiore della facciata di Palazzo Vecchio, alla destra dell’ingresso e dietro il blocco monumentale di Baccio Bandinelli, “Ercole che abbatte Caco”, è possibile osservare un curioso graffito rappresentante un volto di uomo che i fiorentini sono soliti chiamare l’Importuno. La tradizione vuole che ad eseguire quel profilo sia stata, la mano di un famoso artista, quella di Michelangelo Buonarroti. Si narra, infatti, che Michelangelo, mentre era solito attraversare Piazza della Signoria, fosse spesso fermato da uno sgradevole conoscente, che lo importunava con lunghe ed inutili chiacchiere. Una volta, Michelangelo, impossibilitato a liberarsi di questo assiduo interlocutore, si appoggiò alla parete del Palazzo, e continuando ad ascoltarlo ed osservarlo, impugnò il martello e lo scalpello e dietro la schiena tracciò il profilo dell’importuno, da cui il graffito prese così il nome.
TONY E I SOLDATI AMERICANI
A Firenze ed anche in altri paesi della sua provincia, il termine toni – o tony – è di solito usato, nella comunicazione informale, per indicare la tuta sportiva. Si narra che presumibilmente la nascita di questo curioso vocabolo fu dovuto ai soldati americani, subito dopo la conclusione della seconda guerra mondiale: nel 1945, quando il comando alleato decise di iniziare a rimpatriare le proprie truppe, i soldati statunitensi presenti in Firenze, dopo i duri anni di guerra e di lontananza da casa, decisero di festeggiare e commemorare l’evento stampando su alcuni indumenti militari, da riposo e di taglio sportivo, la scritta TO NY, che tradotto dall’inglese all’italiano significa: a New York (il “to” indica infatti il moto a luogo, mente NY la sigla di New York). Prima della partenza i soldati regalarono questi indumenti ai fiorentini quale loro ricordo, ma anche come semplice aiuto ad una popolazione sofferente per le privazioni causate dalla guerra, favorendo così la diffusione in città del termine toni – o tony – per indicare un indumento da indossare per svolgere attività sportiva.