Le peculiarità di una regione e il carattere dei suoi abitanti si riflettono anche nei cibi, contribuendo così a rendere i ricettari testimoni inconsapevoli delle vicissitudini storico-politiche della zona geografica a cui appartengono. In Trentino Alto Adige, più ancora che in altre regioni, una corretta analisi delle delizie culinarie del territorio, non può prescindere dall’analisi della variabile più influente, costituita dalle diverse dominazioni che si sono susseguite, che hanno lasciato in eredità ancora oggi notevoli differenze culturali e linguistiche, di cui esistono testimonianze significative anche da un punto di vista gastronomico. In termini di tradizione culinaria è da sottolineare che, contrariamente alle regioni in cui solo un’accurata ricerca storica consente di attribuire un piatto a una provincia piuttosto che a un’altra, nel territorio trentino-altoatesino tale assegnazione è facilitata dal bilinguismo: i piatti tirolesi hanno nome tedesco, nome italiano quelli trentini. Fanno eccezione a questa netta dualità le preparazioni di derivazione tedesca, il cui nome è dato dall’italianizzazione dell’originario, e le portate trentine di origine veneta (del tutto assenti in provincia di Bolzano). Da un punto di vista generale, la gastronomia regionale è ricca di preparazioni tipiche delle zone di montagna, con abbondanza di carni stufate o – secondo il periodo dell’anno – di salmì di selvaggina da pelo come cervi, caprioli, camosci e altri animali, con le varianti dovute all’impronta asburgica da un lato e alla tradizione delle zone montane venete dall’altro. Mettendo a confronto i primi piatti delle due province, in Alto Adige spicca la carenza di preparazioni a base di pasta. Poche sono le eccezioni, tra cui i ravioli della Val Pusteria o turteln (di origine ladina e non austriaca), una prelibata pasta fritta nello strutto e farcita con diversi tipi di ripieno, tra cui i crauti. La situazione cambia nella zona di Trento, dove i ravioli si identificano maggiormente con quelli della tradizione italiana: riempiti di carni arrosto oppure lessati, sono portati a cottura mediante ebollizione Alcune contaminazioni provengono dall’influenza esercitata dal Triveneto, ossia dall’area comprensiva di Trentino, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Ne sono esempi la pasta e fagioli e le pietanze a base di polenta. Quest’ultima, di granoturco oppure di grano saraceno, insieme con il pane secco, è uno degli ingredienti base della tradizione gastronomica popolare. Ne è testimone lo smacafam (di cui basta il nome per evocarne la qualità di piatto “ammazzafame”), una portata di polenta condita con lardo e salsiccia, di cui esiste anche una variante dolce preparata con uvetta, noci, pinoli e latte. Una pietanza di carattere spiccatamente mitteleuropeo è invece il gulash, uno spezzatino di carne cucinato in umido su un abbondante soffritto di cipolla, insaporito con cumino e paprica. Ne esiste anche una versione in brodo, conosciuta appunto come “minestra di gulasch”. Probabile frutto di contaminazioni fra territori confinanti è anche la tosèla di Primiero, un piatto preparato con l’omonimo formaggio fresco, di consistenza morbida e sapore delicato, affettato e passato in padella con il burro. Per quanto si presenti in modo diverso, condivide con il frico (o fricco) friulano la pratica di cuocere il formaggio con il burro. E tutto questo solo per parlare di alcune contaminazioni derivate da piatti nati dall’incrocio di culture diverse: una cosa è certa, in Val di Sole si mangia sano e naturale, con l’unico problema di faticare a scegliere, in un universo così saporito e variegato di specialità, quelle a cui concedere le nostre preferenze.
Territori