I piatti più vecchi della cucina maremmana sono semplicissimi e affidano la loro gradevolezza alle erbe aromatiche, alla cottura lenta e prolungata, alla capacità di cucinare gli animali da cortile, e all’uso diffuso dei funghi di cui la zona è ricchissima. In queste campagne il pasto più importante era in genere la prima colazione che non si faceva appena alzati ma dopo aver sistemato gli animali se si era in inverno, e dopo le otto durante la bella stagione nei campi (soprattutto durante la mietitura e la fienagione). Talvolta veniva consumata una tazza di orzata (caffè d’orzo) con un po’ di pane tostato, ma la colazione vera e propria consisteva invece in qualche intingolo dove si inzuppava del pane o, più frequentemente, l’immancabile polenta dolce fatta con la farina di castagne, a cui d’estate venivano aggiunte la frittata, magari con le zucchine, oppure rifatta in umido. Il pranzo era in genere molto frugale e spesso veniva consumato nei campi mangiando un pezzo di pane con del formaggio o dei salumi fatti in casa. L’alternativa era la solita polenta di mais o di castagne, oppure la famosa acquacotta che era completamente diversa da quella che oggi troviamo in tutti i ristoranti maremmani, fatta con pochi pezzetti di cipolla che navigavano nel mare d’acqua della padella di ferro. In estate nel tardo pomeriggio si consumava il “merendino”, in genere costituito dalla panzanella, anche questo un piatto molto povero (oggi arricchito) e nelle lunghe sere invernali, in attesa della cena e tanto per riempirsi lo stomaco con qualcosa di caldo, si usava mettere a lessare nel paiolo di rame, un misto di castagne, patate e pere “sementine” (volpine). La cena infine consisteva ancora nella polenta, spesso di castagne, che soprattutto nelle famiglie più povere veniva strofinata ad un’aringa tenuta legata con un filo ad una trave, oppure in qualche zuppa di pane o minestroni vari.
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