Quel ramo del lago di Como che volge a levante…
Il suo vero nome è Lario, ma tutti lo chiamano più comunemente Lago di Como, dopo essere stato in passato Polibio nel periodo greco e lacus commacinus o comensis nel medioevo; è un lago lombardo naturale, originato da profonde escavazioni fluviali durante il Miocene, da cui deriva la radice preindoeuropea “lar – luogo incavato” e modellato in seguito dalle ripetute glaciazioni pleistoceniche.
È il terzo lago italiano come superficie con 145 km² e il primo per sviluppo perimetrale con 170 km ed è il quinto bacino più profondo d’Europa con i suoi 410 metri, alle spalle di 4 laghi norvegesi.
Occupa le province di Como e di Lecco ed è proprio da quest’ultima che parte il nostro ipotetico viaggio verso nord, nel ramo definito appunto lago di Lecco che termina a Varenna; il nostro percorso si spinge però fino a dove il fiume Mera crea un collegamento con il piccolo lago di Mezzola.
«Quel ramo del lago di Como, che
Alessandro Manzoni,
volge a mezzogiorno, tra due catene
non interrotte di monti, tutto a seni
e a golfi, a seconda dello sporgere e
del rientrare di quelli, vien, quasi a
un tratto, a ristringersi,
e a prender corso e figura di fiume,
tra un promontorio a destra, e
un’ampia costiera dall’altra parte;
e il ponte, che ivi congiunge le
due rive, par che renda ancor
più sensibile all’occhio questa
trasformazione, e segni il punto
in cui il lago cessa, e l’Adda
rincomincia, per ripigliar poi nome
di lago dove le rive, allontanandosi
di nuovo, lascian l’acqua distendersi
e rallentarsi in nuovi golfi
e in nuovi seni.»
I promessi sposi, 1840
UN ITINERARIO SUGGESTIVO
È un percorso breve, una gita di circa 50 km, ma non per questo priva di emozioni, nella magica atmosfera di un lago che vive cullato dalle montagne che lo circondano. Si parte da Lecco, un’operosa città di quasi 50 mila abitanti, decorata di Medaglia d’argento al valor militare per attività partigiana, in merito alla partecipazione alla Lotta di Liberazione dal 1943 al 1945. La città ha dato i natali a personaggi illustri, il geologo e letterato Antonio Stoppani (1824-1893), il poeta Antonio Ghislanzoni (1824-1893), celebre librettista dell’Aida di Giuseppe Verdi e il campione olimpico Antonio Rossi.
Una città che ha colpito anche il grande Leonardo da Vinci: il disegno 12409 (codice Windsor) non è altro infatti che una veduta di Lecco medioevale, sulla quale irrompe uno dei tipici acquazzoni primaverili; in diversi altri disegni contenuti nei codici di Windsor, si rintracciano disegni di creste nevose che appartengono al paesaggio lecchese. Lecco è ricca di edifici religiosi e civili di rilievo, dei quali consigliamo la Basilica minore romana di San Nicolò, il Teatro della Società, il Ponte Azzone Visconti e la Torre Medievale.
La riviera di Lecco è considerata turisticamente meno rilevante di quella di Como, perché meno ricca di ricordi nobiliari del passato e di ville con giardini, tuttavia è indubbiamente più suggestiva, pregevole esempio di natura selvaggia ancora relativamente intatta.
Il percorso che costeggia il lago attraversa piccoli centri molto suggestivi, che si affacciano sullo splendido scenario dominato da catene montuose spioventi, di natura carsica e dolomitica, che variano per altezza dai 922 metri del monte Barro ai 2410 del maestoso Grignone, passando per i 1276 del Moregallo e i 1877 del Resegone.
Ne scaturisce un insieme unico, dove l’aspetto generale ricorda l’ambiente dei fiordi del nord Europa; sono consigliate piccole soste a Mandello del Lario, Varenna, Bellano, Dervio e Colico, per finire alla Riserva naturale Pian di Spagna, una tra le più importanti riserve naturali della Regione, nella quale nidificano numerose specie di uccelli acquatici, di anfibi e dì rettili. Per avere una visione d’insieme dell’oasi naturale si può salire ad Albonico, frazione di Sorico, per poi scendere al lago di Mezzola e godersi un po’ di birdwatching nelle suggestive luci del tramonto
FIUMELATTE: IL FIUME PIÙ BREVE D’ITALIA
Il cartello apposto sopra a Fiumelatte è un po’ partigiano: questo brevissimo corso d’ acqua, di appena 250 metri dalla fonte alla foce è secondo infatti al fiume Aril (immissario del lago di Garda), il cui percorso è di soli 175 metri. Ma non è solo la sua brevità a renderlo oggetto di curiosità: le sue origini per lungo tempo rimaste sconosciute, il suo candore (da qui il nome Fiumelatte), la sua intermittenza, la sua comparsa e scomparsa improvvise in due periodi precisi dell’anno, sono tutti fenomeni di cui sono stati colpiti personaggi come Plinio il Vecchio e da Vinci. Quest’ultimo, interessato alla meccanica dei fluidi, ne parlò nel suo Codex Atlanticus definendolo ‘Fiumelaccio’ e dicendo “… il quale cade da alto più che braccia 100 dalla vena donde nasce, a piombo sul lago, con inistimabile strepitio e romore”.
Sono diverse le leggende su questo fiume che esce da un cavità oscura, buia, all’improvviso all’inizio della primavera, per poi altrettanto repentinamente, smettere di uscire all’inizio dell’autunno.
Numerosi sono anche i tentativi documentati di esplorazione, ma solo nel 1983 gli speleologi del gruppo Cai Lecco poterono finalmente superare certi ostacoli e aprirsi, per così dire, un “varco”, trovandosi di fronte ad un ambiente sotterraneo molto vasto e intricato, con strettoie tali da impedire successive esplorazioni, rinviando agli anni successivi la scoperta dei misteri di questo curioso fiume.
La labirintica grotta ipogea ha mostrato agli esperti chiari segni di attività idrica; si suppone quindi che quando la cavità sotterranea “di raccolta” (non ancora comunque individuata) si riempia troppo, travasi provocando il tumultuoso inizio dello scorrere delle acque fino all’imboccatura della grotta e da qui a valle, fino al lago. Il momento in cui il fenomeno si manifesta coincide con la data del 25 marzo di ogni anno, giorno in cui la chiesa festeggia l’Annunciazione della Madonna, e smette di scorrere attorno al 7 ottobre, giorno in cui la chiesa celebra la festa della Madonna del Rosario: da qui nasce la denominazione di Fiumelatte come il fiume delle due Madonne.
UNO SGUARDO DAL FORTE “LUSARDI”
Dal colle di Montecchio, più precisamente dietro la penisola di Piona si domina, con uno sguardo a trecentosessanta gradi, l’alto Lario, lo sbocco della Valtellina e la strada per la Svizzera. Il colpo d’occhio è straordinario, e con un po’ più d’attenzione si nota subito la sua eccezionale posizione strategica in ambito militare.
Per questo motivo, i generali italiani, prima della Grande Guerra, stabilirono di fortificare con una poderosa e modernissima struttura, la parte settentrionale del modesto rilievo, costruendovi una grande fortezza corazzata, il Forte “Lusardi”, più noto come Montecchio Nord.
Il fatto che questa possente opera fortificata sia, poi, entrata a far parte della cosiddetta “Linea Cadorna”, ossia la fascia di resistenza arretrata, progettata per coprire le vie d’accesso alla pianura, tra Piemonte e Lombardia, induce molti a pensare che sia stato il generalissimo a creare questo sistema di fortezze: in realtà, esse si dovettero in larga parte ai suoi predecessori, fra cui ricordiamo il governatore di Milano, Don Pedro de Fuentes.
Il “Lusardi” fa bella mostra dei suoi formidabili cannoni da 149/35 mm, nelle torrette girevoli Armstrong/Schneider, che ancora possono brandeggiare: sono praticamente intatti i serramenti blindati, gli impianti elettrici e tutti i servizi logistici del grandioso complesso.
Il Forte fu al centro della storia italiana quando il 26 aprile 1945, venne consegnato ai partigiani, che spararono alcuni colpi verso l’altra sponda del lago, fermando l’autocolonna tedesca in cui era stato nascosto Benito Mussolini. Oggi Forte Lusardi è gestito dal Comune di Colico, che ne permette la visita; se non siete interessati alla storia, dalle cupole d’acciaio del forte di Montecchio Nord si gode di una vista assolutamente eccezionale su tutta la zona circostante e anche la strada che si percorre per arrivare, permette di ammirare scorci meravigliosi del lago.